«Caro P, con tutte le palle che ci stai raccontando, possiamo riempire un bell’albero di Natale!»
Per qualche istante, mi sembrò pure carina come battuta, poi, con gli anni, è subentrata una strana forma di sgomento. E con altri anni che sono seguiti ancora, mi è parso, comunque, un insegnamento. Stavamo in classe, uno di noi era in interrogazione, al cospetto del prof e della lavagna sporca, con dei segni, ma soprattutto con le ombre della lezione di prima e la polvere del gessetto. Effettivamente, quello che diceva P, poco c’entrava con l’interrogazione, con la materia stessa. Allora mettigli impreparato e mandalo al posto, pensavo, puntando sulla questione di metodo, soprattutto quando a sfotterlo fosse il prof, quello che poi avrebbe minato la formazione dei successivi tre anni, per diverse materie. Aveva stabilito, infatti, che il programma fatto l’anno prima da un altro insegnante, non andasse bene e, quindi, ce lo fece rifare, saltando completamente quello dell’anno in corso. Produsse notevoli danni, formativi e comportamentali, mancò di rispetto agli alunni e al suo collega. Per anni sono stato incazzato, ma poi la rabbia è scomparsa. La metti in un angolo, quella, finché un giorno non la trovi più e non sai se l’hai lasciata andare o sia scappata. Mi ha insegnato uno stile di vita, il rispetto dei ruoli, a non annientare, ma proseguire il lavoro dei collaboratori e dei colleghi, correggere ed integrare, semmai. Il rovescio della medaglia è che non lo ha fatto in modo consapevole. Gli è venuta come botta di culo, diciamolo.