«Lei non si deve arrabbiare, signor Whitaker.»
Ah, guarda, ora che l’hai detto, non mi arrabbio più, come per magia. Innanzitutto, io non mi arrabbio, ma mi incazzo. Rende di più l’idea, l’arrabbiatura mi sa di palliativo scemo. E io, che fino ad oggi mi sono sempre incazzato, perché nessuno mai, che m’avesse detto che non occorreva. Devo proprio ringraziarti! Sta a vedere, poi, che le mie emozioni debbano essere dettate da te. Se vi sto inveendo contro, è perché tu, che sei incompetente, e il tuo capo, incompetente, pure lui, ma pure idiota, state blaterando richieste assurde e inaccettabili. Non è che sono pazzo, o forse lo sono anche, ma in questo frangente, è del tutto irrilevante. Dopo la frase inutile di CG, è diventato inutile parlare. Mancano proprio i presupposti basilari, come l’intelligenza (loro), tanto per dirne uno. Quindi, non l’ho fatto. Non ho detto niente di tutto questo, ma l’ho pensato, lasciando il cubicolo dov’eravamo – che chiamano ufficio – in un silenzio imbarazzante e palpabile e, dopo averlo pensato, ho salutato e me ne sono andato, con Carmine che, in qualche modo, mi seguiva scomposto e distrutto. Fuori ho respirato aria fresca e di mare. Pulita, soprattutto. Mi sono goduto la salsedine e il sole. Carmine, di fianco a me, non mi guardava né mi parlava, terrorizzato che avessi bruciato un accordo proficuo. Io stavo bene e sorridevo. Dopo due giorni, CG mi ha mandato l’accordo firmato, con le mie condizioni, senza correzioni, ma, al telefono, mi ha detto che il suo capo, però, non mi riceverà più. Non amo le negoziazioni muscolari, ma non ci sono soldi che tengano, quando so di avere ragione.