A volte, invidio — ma solo un poco — quel dono di trasparenza di certa gente. Quelle persone a metà tra l’essere un comodino ed un cagnolino di peluche (che quello vero pure reagisce). Non li senti parlare, non li senti pensare, non li senti camminare. Hai il sospetto che manco il Padreterno se li chiami, perché li ha semplicemente dimenticati e li lasci vagare inermi e informi sulla faccia della terra. Anche fuori dal pancione materno, continuano a vivere nel loro liquido amniotico e a nutrirsi di fuffa. Bivaccano nel mondo, finché, un giorno, si dimenticheranno di respirare e scompariranno, come le buste biodegradabili. Una vita senza ricevere e senza dare.
Poi, però, rinsavisco e mi dico che non ce la farei: preferisco i pugni in faccia, le spranghe nello stomaco e le pedate nel culo che, con tanto amore, la vita riserva. Sono la moneta di scambio per provare emozioni, gioire, essere fieri di sé e non vergognarsi di rubare un altro filo d’aria con il respiro. E, io lo sono, fiero.
So che il mio modo di essere, e di fare soprattutto, mi porta a non essere simpatico a tutti. Al solo sentire il mio nome, molti storcono il naso e mi odiano e mi maledicono. Il suono “Whitaker” fa l’effetto unghia sulla lavagna o spray urticante. Ma a qualcuno, invece, la bocca sorride, a qualcun altro gli occhi si illuminano. E mi basta. Come dire, servire non è servire.
Mi è arrivato un pacco. Dagli Stati Uniti… dallo zio d’America, in poche parole. E quando l’ho aperto, le mani sudavano e gli occhi luccicavano, per l’emozione. C’era una lettera d’accompagnamento, scritta a mano, con la grafia calcata, incerta di chi c’ha messo tanto a scriverla e non per il contenuto. Zio Peter mi ha designato suo successore. Non me lo aspettavo.A tredici anni volevo fare il contrabbandiere, per colpa sua. Poi me ne sono dimenticato ed ho fatto altro, per fortuna. Era da un anno morta mamma e zio Peter, in vacanza in Italia, si sentiva in dovere di tirarmi su il morale. Mi raccontava, perciò, storie assurde e fantastiche del bisnonno e della sua famiglia, legate al contrabbando di whiskey, durante il proibizionismo. Appostamenti e mazzette, scazzottate e sparatorie con fucili, tabacco sputato e risate oscene nei bordelli. Da adulto, ho creduto che, quei racconti, fossero il frutto delle fantasie di un bontempone, però volevo crederci e li ricordo nel dettaglio. Oggi, con questo barattolo di whiskey, sono ufficialmente il custode designato di una saga. Ma, soprattutto, avrò un piccolo ruolo nel contrabbando e restituirò la verità al ragazzino che ero. Vorrei assaggiarlo, ma non mi sento all’altezza. La storia è troppo preziosa per disperderla in un sorso e dovrò scegliere con cura il depositario che mi succederà.
Ero partito per Gent da un giorno. Anche i muri ne erano informati. Lui disse di non saperlo e si presentò a cercarmi. Con una mazza da baseball. Paola, dal desk, provò a balbettare qualcosa, mentre le si sbiancavano le efelidi per la paura, ma non le riuscì di convincerlo. Lui, ormai invasato, roteò la mazza sopra la testa e spaccò il telefono e, con due passi, arrivò alla stampante. Spaccò pure quella. Corse verso il mio ufficio, ma non riuscendo a sfondare la porta, tornò indietro, andando incontro alla vigilanza accorsa, approfittando per rompere un altro paio di cose, giacché si trovava. Vasi fragili e indifesi. Era una rappresentazione teatrale, quella che mise in piedi. Patetici, lui e la sua scenetta. In strada, con il nostro logo come sfondo, mi chiamò e, trovando la segreteria, mi insultò e minacciò. La minaccia più pacifica era “Ti spacco la faccia” e l’ingiuria più gentile “coglione”. Ripeteva, a disco rotto, Whitaker, ma aggiungendo almeno quattro “r”. Pure il gestore telefonico impallidì e mi propose di scappare anziché ascoltare il messaggio.
Non posso dire come, ma ci riappacificammo, senza denunce, e lui pagò tutto. Pure le efelidi sbiancate. In seguito, mi diede appuntamento in una zona malfamata. Pensavo mi avrebbe ucciso e occultato. Invece, era lì il suo ufficio e insistette perché rimanessi a pranzo. Ogni giorno, il suo cuoco va in azienda e gli prepara un menu diverso. Una figata pazzesca: pensavo che solo Mike Bongiorno avesse lo chef personale. Ad oggi, con noi, ha investito più di quanto abbia guadagnato e a Natale, puntuale, mi arriva del Barolo. Mio nonno avrebbe usato tre parole: “Guappo di cartone”. Io non so essere così efficace e sintetico.