Whitaker

Quant’è bastarda la memoria. Solo a volte, almeno.

Camminavo tranquillo e, d’improvviso, il verso di un gabbiano mi ha sorpreso e traghettato fuori dai miei pensieri sconnessi, deviati, però sereni.

E, quell’urlo inaspettato, ha riportato in superficie una serie di sapori, emozioni, profumi, immagini, umori, tutti belli, profondi e, soprattutto, miei. Ho cominciato a pregustare un fiano aromatico e freddo, delle ostriche crude su un letto di ghiaccio e quel tavolo proprio di fronte il mare, poi… Per non parlare del sole che scalda la pelle e da cui sale, l’attimo dopo, il tuo odore.

A un certo punto, ho risentito il gabbiano, come se mi chiamasse e mi sono girato, quindi.

Ho realizzato solo in quel momento che garriva, sì, ma non a me: si stava contendendo con un topo l’immondizia di Roma. Ero a due passi dal Colosseo, ma mi è parso il posto più brutto del mondo, ingannato dal clic sbagliato, pigiato nella testa. Mi sono sentito defraudato, spolpato da una realtà, la mia realtà che con la mente, ormai, era già in corso. Sono tornato alla macchina, per andare a Fregene e vivere almeno qualcosa, di quello che si era creato.

Non mi ha mentito, lo so, ma è brutto che la memoria tiri questi scherzi, ma non ha colpa che a Roma ci siano i gabbiani!

Whitaker

Prima che ci “consigliassero” di assumerlo, Carmine aveva un ufficio lussuoso, in una via prestigiosa e ci andava con una Ferrari bellissima, rumorosa e arrogante come lui. Si aggirava, spavaldo e subdolo, al porto, tra i vicoli malfamati, in buvette luccicanti ed era ottimo cliente di molte banche in città. Poi, tutti i mesi, partiva. Andava a Lugano in un tragitto tortuoso, usando treni e auto. Si incontrava con intermediari e multinazionali, del tabacco e degli spirit. Acquistava container zeppi di merci. In contanti. Escludendo il monopolio di Stato. Prima del treno – per la Svizzera – partiva lo show. Si travestiva da frontaliero, ma in calzamaglia. Sotto il jeans, ne indossava – estate e inverno – una robusta, che contenesse una intricata composizione di banconote. Diversi milioni di euro. Al ritorno, andava direttamente al porto ed organizzava l’arrivo, comprando, a due soldi e egual misura, burocrati e beni marci, per camuffare il prezioso carico. Allestiva un nuovo show. Il brutto è che se ne vanti, anziché cercare di dimenticare il passato.

Sta da noi, e non in galera, ché deve fare il bravo, parole sue. Tutori della legge, burocrati e tipi loschi, quando vengono in azienda, vanno direttamente da lui, alla supply chain, anziché in amministrazione. Alcuni hanno rilevato la sua società.

In un posto tra la Libia e la Tunisia dice di avere ancora un container di whisky e, un giorno, dovrà farlo arrivare in Italia.

La storia ritorna, prima o poi.

Un treno di pensieri di Caterina Losi

Potrebbe essere un'immagine raffigurante libro

Mi piace la poesia di Caterina Losi, toccante come solo la scrittura più sincera può essere.
E mi piacciono i fumetti di The_Wooden_Doors, originali come solo un artista vero e maturo riesce a creare.
Questo è un lavoro che hanno fatto insieme.
Per ordinarlo, basta andare alla pagina Facebook This_Wooden_Doors
#WhitakerAcademy

Whitaker

Quando aveva le prove dell’abito, zio Milvio mi portava con sé, a volte. Bruno, il suo sarto, senza parlare, mi metteva in un angolo, mi dava un metro di legno, quadrato, mai visto altrove, una pezza avanzata e un gessetto rettangolare, per farmi giocare. In realtà, voleva che mi togliessi dai piedi, ma con gentilezza.

Mi piaceva il contesto, ma non ne coglievo appieno emozioni e risvolti. Per il mio primo ruolo in azienda, zio Milvio mi regalò il mio primo abito su misura, grigio scuro, con il bavero un po’ più largo. Bruno mi parlò e mi regalò la cravatta.

Da allora, la pressione lieve del gesso, il disegno delle linee su di me, la pinzatura con le dita, mi regalano dei battiti che saltano. Il metro, morbido, mi avvolge come in un abbraccio. Il sarto, che corre intorno, è discreto e protettivo. E, da allora, non ho più smesso. Nemmeno di sorridere, tutto il tempo, in quello specchio obliquo.

È un rapporto intimo e speciale. Non parliamo di soldi, io non so quanto costino abiti e camicie, lui non sa quando avrà il bonifico. È oltre la fiducia, diverso dall’amicizia e dalla parentela. Spesso, dopo le prove, ci fermiamo nel suo angolino, per un caffè o un rum. A lui piacciono l’arabica e gli agricoli, quindi anche a me. Con zio Milvio, invece, ci sedevamo a un tavolino del bar, appena fuori la sartoria. Mi comprava il gelato o la cioccolata calda, in base alla stagione, senza chiedermelo. I bambini non sceglievano. Per lui ordinava un caffè, con la “e” allungata e un sorrisino, che servivano ad ordinarlo corretto col brandy, senza che io me ne accorgessi.

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Il profumo del fumo, nella notte scura, illuminata dalla fiamma aranciata, il caldo della brace che avvampa la faccia, il fuoco che scricchiola, il rumore del vuoto intorno, di mare o di montagna, non importa, l’aroma della carne cotta sotto la cenere. È tutto magico. E mistico, quasi.

Nel buio, pesto e nero, non come il falso buio di città, conosci chi sei, frequenti te stesso, ti innamori, scopri il vino e le chiacchiere, i baci e la chitarra, le carezze e le battute sconce, i gesti osceni e gli occhi complici.

Provi sentimenti che non riesci a rivivere, o solo a spiegare, altrove. Il vissuto diventa poesia.

È in campeggio che si cresce e si sviluppa l’anima. Svelo un segreto: non tutti ce l’hanno, l’anima o, meglio, c’è, da qualche parte, ma ad alcuni resta assopita, ibernata. Per sempre.  

L’indomani, non ti ricordi i fatti raccontati o quelli accaduti, ma ti ricordi, nitidi, forti, scolpiti nella mente, delle emozioni e di quei sensi rianimati.

Fa niente che quel profumo di fumo diventi la puzza che ti porti addosso anche dopo la doccia, la carne dura e secca e sporca di cenere, le dita scottate e le persone intorno, meno magiche. Per quello che resta dentro, ne vale sempre la pena.