Mug blu – Con la porta aperta

#come_nascono_i_racconti

Ogni racconto ha una sua vita e una sua storia.

Avevo premuto con rabbia il polpastrello sull’icona rossa dello smartphone, per chiudere una telefonata molesta. Con violenza, poi, l’avevo lanciato sul piano, nemmeno fosse colpa di quel povero aggeggio l’avermi fatto sbraitare con un cialtrone. Per sfogarmi andai direttamente alla macchinetta del caffè, come a farmi consolare da un amico.

Anziché ritornare alla scrivania, ripiegai verso la finestra, per guardare la pioggia scendere e mettere una distanza tra me e quel malessere. Più sorseggiavo il caffè più mi rilassavo. La pioggia lavava l’aria, il caffè puliva me. Decisi di dedicargli qualche riga, per ringraziarlo. Avrei fatto un’ode, conclusi. Come quella al pomodoro, vaneggiai.

Una volta seduto, realizzai di non essere Neruda e non sapevo come uscirne. Però, volando basso è nato Mug blu.

Il seguito è finzione della mente, nella realtà delle parole.

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Whitaker

Un sì, al posto di un no e la mia carriera, la mia vita, sarebbero potute cambiare radicalmente. Avrei percorso strade diverse da quelle poi imboccate e a volte addirittura tracciate. Durante una corsa in auto.

Un amico mi chiese di accompagnarlo, una domenica mattina. Per una commissione rapida, aggiunse. Poi avremmo pranzato con un’isola davanti e il mare in mezzo, aggiunse ancora. Ovviamente accettai, non so se per le aspettative paesaggistiche e gastronomiche o solo per fargli compagnia. Sapevo che avremmo corso, non immaginavo che avremmo consumato gli ottocento chilometri, tra andata e ritorno, quasi sempre oltre i centoottanta all’ora e punte di duecentotrenta.

Mi piacque molto quel viaggio, sentivo tutti i cavalli del motore – scalpitanti e rabbiosi – percorrermi la schiena, il sedile sportivo in pelle mi teneva saldo, stretto, come l’infermiere tiene un matto da dietro. L’andata passò senza segni, una corsa folle in cui preferimmo gustarci l’adrenalina scatenata dalla velocità, anche stando solo di fianco, usando parole con poco significato dentro. Parlammo, sì, ma di serate fuori e incroci con le persone, donne e macchine, manco fossero intercambiabili. Al ritorno pilotò abile e sicuro, oltre che la coupé, nera e lucente, anche il discorso, che durò quanto la strada, imperniato un su una proposta di impresa. Un po’ per la sorpresa, un po’ perché avevo imbastito altri progetti, di più, forse, perché proporre e dire mi piaceva più di quanto mi venisse proposto e detto, rifiutai senza riflettere e senza ripensamenti, con la stessa velocità alla quale viaggiavamo. Ci vedemmo poche altre volte e, quando ci incontriamo, ci salutiamo solo da lontano.

È diventato un pezzo grosso, ricco, accerchiato da accoliti sognanti, non so se per leadership o interesse.

Ultimamente, per qualche giorno ho pensato a come sarebbe andato il mio sliding door.

“Va bene così, mi sono ripetuto, fino a convincermi”.

Però mancano quelle corse in auto e quelle chiacchiere intrise di leggerezza.

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I Baldi – Con la porta aperta

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Ogni racconto ha una sua vita e una sua storia.

A due passi dall’albergo scovai un parco, pieno di panchine, di alberi e di verde, con un anello intorno, ideale per la corsa. Così andai a correre, immerso totalmente nei pensieri, credevo che sarei stato da solo, mi trovai invece circondato da cani, dog-sitter, runner. E una vecchietta, ma senza gli umarell. Tanta roba, insomma per non farci qualcosa. Inconsapevolmente, accelerai la corsa, scoprendo energie ignote e un’allegrezza di fondo. Uscii velocemente dalla doccia, approdai al tavolino di un bar – perché faceva tanto Hemingway – e ancora più velocemente dai tasti uscirono “I Baldi”, cugini di secondo grado. Quella sera di giugno 2018 arrivarono stelle nel cielo, risate nel cuore e uno spritz a brindare con Milano.

Il seguito è finzione della mente, nella realtà delle parole.

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Meno di tre passi – Con la porta aperta

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Ogni racconto ha una sua vita e una sua storia.

Era il 22 luglio 2018, una domenica. E aspettavo. Tante cose e una persona.

A Noto, sulla via principale c’erano, ovunque, il caldo e la bellezza siciliani. E per cercare di smorzarne uno e ampliare l’altra, mi rifugiai in un Inzolia freddo, di fronte il Duomo. Ma l’Inzolia fece altro: sprigionò dai ricordi gli spettacoli tra le calette e mi presentò un uomo e la sua sirena, forse intravisti altrove.

Con l’odore del mare che sentivo addosso, con il profumo del vino dal calice al naso, nacque “Meno di tre passi”. Senza ingannare l’attesa, creando un’ora di spazio, un’ora di vita.

Il seguito è finzione della mente, nella realtà delle parole.

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