Nonostante siano passati 10 mesi dall’uscita, “Con la porta aperta” viene ancora letto su Kindle Unlimited e, in un giorno, Amazon ne ha spedite 10 copie del cartaceo!… Gran botta di adrenalina, unita a una prossima “spedizione”!!! …stay tuned
Avevo premuto con rabbia il polpastrello sull’icona rossa dello smartphone, per chiudere una telefonata molesta. Con violenza, poi, l’avevo lanciato sul piano, nemmeno fosse colpa di quel povero aggeggio l’avermi fatto sbraitare con un cialtrone. Per sfogarmi andai direttamente alla macchinetta del caffè, come a farmi consolare da un amico.
Anziché ritornare alla scrivania, ripiegai verso la finestra, per guardare la pioggia scendere e mettere una distanza tra me e quel malessere. Più sorseggiavo il caffè più mi rilassavo. La pioggia lavava l’aria, il caffè puliva me. Decisi di dedicargli qualche riga, per ringraziarlo. Avrei fatto un’ode, conclusi. Come quella al pomodoro, vaneggiai.
Una volta seduto, realizzai di non essere Neruda e non sapevo come uscirne. Però, volando basso è nato Mug blu.
Il seguito è finzione della mente, nella realtà delle parole.
Un sì, al posto di un no e la mia carriera, la mia vita, sarebbero potute cambiare radicalmente. Avrei percorso strade diverse da quelle poi imboccate e a volte addirittura tracciate. Durante una corsa in auto.
Un amico mi chiese di accompagnarlo, una domenica mattina. Per una commissione rapida, aggiunse. Poi avremmo pranzato con un’isola davanti e il mare in mezzo, aggiunse ancora. Ovviamente accettai, non so se per le aspettative paesaggistiche e gastronomiche o solo per fargli compagnia. Sapevo che avremmo corso, non immaginavo che avremmo consumato gli ottocento chilometri, tra andata e ritorno, quasi sempre oltre i centoottanta all’ora e punte di duecentotrenta.
Mi piacque molto quel viaggio, sentivo tutti i cavalli del motore – scalpitanti e rabbiosi – percorrermi la schiena, il sedile sportivo in pelle mi teneva saldo, stretto, come l’infermiere tiene un matto da dietro. L’andata passò senza segni, una corsa folle in cui preferimmo gustarci l’adrenalina scatenata dalla velocità, anche stando solo di fianco, usando parole con poco significato dentro. Parlammo, sì, ma di serate fuori e incroci con le persone, donne e macchine, manco fossero intercambiabili. Al ritorno pilotò abile e sicuro, oltre che la coupé, nera e lucente, anche il discorso, che durò quanto la strada, imperniato un su una proposta di impresa. Un po’ per la sorpresa, un po’ perché avevo imbastito altri progetti, di più, forse, perché proporre e dire mi piaceva più di quanto mi venisse proposto e detto, rifiutai senza riflettere e senza ripensamenti, con la stessa velocità alla quale viaggiavamo. Ci vedemmo poche altre volte e, quando ci incontriamo, ci salutiamo solo da lontano.
È diventato un pezzo grosso, ricco, accerchiato da accoliti sognanti, non so se per leadership o interesse.
Ultimamente, per qualche giorno ho pensato a come sarebbe andato il mio sliding door.
“Va bene così, mi sono ripetuto, fino a convincermi”.
Però mancano quelle corse in auto e quelle chiacchiere intrise di leggerezza.
A due passi dall’albergo scovai un parco, pieno di panchine, di alberi e di verde, con un anello intorno, ideale per la corsa. Così andai a correre, immerso totalmente nei pensieri, credevo che sarei stato da solo, mi trovai invece circondato da cani, dog-sitter, runner. E una vecchietta, ma senza gli umarell. Tanta roba, insomma per non farci qualcosa. Inconsapevolmente, accelerai la corsa, scoprendo energie ignote e un’allegrezza di fondo. Uscii velocemente dalla doccia, approdai al tavolino di un bar – perché faceva tanto Hemingway – e ancora più velocemente dai tasti uscirono “I Baldi”, cugini di secondo grado. Quella sera di giugno 2018 arrivarono stelle nel cielo, risate nel cuore e uno spritz a brindare con Milano.
Il seguito è finzione della mente, nella realtà delle parole.
Era il 22 luglio 2018, una domenica. E aspettavo. Tante cose e una persona.
A Noto, sulla via principale c’erano, ovunque, il caldo e la bellezza siciliani. E per cercare di smorzarne uno e ampliare l’altra, mi rifugiai in un Inzolia freddo, di fronte il Duomo. Ma l’Inzolia fece altro: sprigionò dai ricordi gli spettacoli tra le calette e mi presentò un uomo e la sua sirena, forse intravisti altrove.
Con l’odore del mare che sentivo addosso, con il profumo del vino dal calice al naso, nacque “Meno di tre passi”. Senza ingannare l’attesa, creando un’ora di spazio, un’ora di vita.
Il seguito è finzione della mente, nella realtà delle parole.
Mi frullava in testa una trama strana e, per questo, mi intestardii. Una storia difficile, cruda e solo un personaggio forte e interessante poteva assumersene l’onere di realizzarla. Era lì che mi infastidiva, si intrometteva nei pensieri. Dovevo liberarmene.
Casualmente, una sera, lo scoppiettio di un fuoco liberò, dai ricordi assopiti, una donna conosciuta anni prima, la sua voce e i suoi gesti e i suoi sguardi. Poi realizzai di quanto fosse solo una ragazzina. Diversa, però. Scaltra, forbita, ironica, irriverente, a tratti stronza, forse. Determinata, capace e bella, pure. Avevo trovato la mia protagonista. E nacque “Irish”.
Il seguito è finzione della mente, nella realtà delle parole.
Inutile girarci intorno: Pietro non è mai stato una colonna dell’azienda né un manager competente. Lo abbiamo tenuto e mantenuto, solo per far contento zio Milvio, e finché ci costava solo in stipendi, benefit e rimborsi bizzarri e generosi, passi. Ma ormai non si trattava più – solo – di pagare caffè e pasticcini a inutili passacarte e perfetti sconosciuti, faceva danni anche solo aprendo bocca. Può anche darsi che in passato qualcosa di buono l’abbia fatta, ma non se n’è trovata traccia.
Decidiamo, quindi, di collocarlo in ferie, dovrebbe starci molti mesi, per azzerare tutte quelle mai prese: spudoratamente in vacanza da anni!
Risparmiamo i caffè e i danni collaterali, ci consoliamo, dopo aver fatto digerire la cosa anche a zio Milvio, messo di fronte a inequivocabili evidenze. E iniziamo così ad allontanarlo dall’azienda definitivamente, pensiamo.
Comincio quasi a considerarlo un simpatico e nostalgico ricordo, da riderne alle cene goliardiche, quando lo incontro al tavolino del bar, di fianco al mio sarto. È lampante l’imbarazzo, sottolineato dalle guance, dello stesso rosso della cravatta. Per il resto, ha il suo abito blu migliore e l’inseparabile agenda, che ho sempre immaginato con i fogli intonsi. Quel nome dorato, in rilievo sul cuoio, l’ho sempre trovato di cattivo gusto e fuori moda, ma non gliel’ho mai detto.
Mi confida, a questo punto, di non aver comunicato le ferie in famiglia e così esce di casa ogni mattina regolarmente, come fatto negli ultimi trent’anni, manco dovesse salvarci dal fallimento. «Sai – continua – loro mi attribuiscono un ruolo decisamente superiore.»
“Chissà chi glielo abbia fatto percepire” penso, ma taccio, saggio sì, ma spossato da questa situazione incancrenita.
Tempo qualche giorno e scopriamo di come abbia portato avanti alcuni affari durante le ferie, per attaccamento all’azienda, ha sbottato lui, ma costruendo parallelamente altri problemi e sempre più grossi.
E niente, alcuni sono proprio infestanti e deleteri come la gramigna, ma si danno le arie dell’aloe vera.
“Alba, nella notte” nasce in un ufficio spoglio e brutto. Un collega, quando poteva, mi raccontava frammenti della sua vita, come fossero trailer:
un sabato, dopo il lavoro, corse a Montecarlo, per sesso e champagne,
era volontario presso un centro di sostegno psicologico, gli serviva per l’università.
due sue amiche avevano acquistato loro stesse e operavano in proprio, ormai, come prostitute. E qui mi sono incagliato: Alba, come la nascita di un giorno nuovo e la canzone di #vascorossi. E sì, lui somiglia a Fabio!
Il seguito è finzione della mente, nella realtà delle parole.
Ogni racconto ha una sua vita e una sua storia. “Tre sassi soli nel deserto” nasce in una notte d’inverno, in un sogno, in cui la prima scena è una stanza un po’ annebbiata con il protagonista triste e muto. Arriva lei e si presenta “Sono Giulia, Giulia Ostero”. Il nome di lui non è importante, invece. Il protagonista sente l’alito di lei sulla guancia. Poco dopo tutto sfuma nel frastuono di una sveglia invadente. Il seguito è finzione della mente, con la realtà delle parole.#whitakeracademy #michelepalmieri#conlaportaaperta