Whitaker – #shortstory n.74

L’unico vantaggio della morte prematura è che ferma il tempo. Quando è morta mia mamma è stato un dramma, uno strazio anche se non ne cogliessi appieno la portata. A dodici anni hai una visione veramente semplificata del mondo, i cui confini coincidono con quelli infinitesimali del tuo. Non esiste altro e te ne fotti degli altri, persino di lei, tua madre, che è lì distesa immobile in quella chiesa, che puzza di incenso e di gente.

L’unico cazzo di guaio in quel momento è che lei non ti sarà più di aiuto, supporto, risorsa e soluzione per tutto il tuo esistere.

Oggi non riesco a immaginarmela diversa da com’era l’ultimo giorno che l’ho vista. Sarebbe ingrassata? Avrebbe tinto il bianco dei capelli? Quali sarebbero ora i segni della vita: rughe o cicatrici? Avrebbe lasciato mio padre? Lui, così diverso da lei, o dal ricordo che ne ho.

Semplicemente, lei non è anziana: continua a essere la gnocca quarantenne con l’aria furba da liceale. Sono io quello più adulto, quello più vecchio.

In fondo, devo sbattere il muso contro la triste verità di quanto poco la conoscessi e quel che mi è rimasto di lei è attraverso il riflettore sbilenco di un moccioso. E mi ostino a pensarla al presente come fosse viva e come se non fosse una semisconosciuta. Ho vissuto meno di un terzo della mia vita con lei, compresi gli anni inconsapevoli e impalpabili da poppante. Ad alcuni collaboratori e conoscenti ho dedicato decisamente molto più tempo.

Poi mi ricordo di una parola strana, prima si forma nella testa, ma appena dopo ne esce e si materializza sulla libreria di fronte, con le lettere che cominciano a ballare, a dimenarsi, pazze. Si sbracciano per farsi vedere. Sono talmente scalmanate nei movimenti che non riesco a leggerle nell’insieme, ma devo comporre la parola con lo spelling per coglierne il significato: Imprinting.

Boh, sarà quello, forse.

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La vita gioca con me – David Grossman

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È il mio primo libro letto di questo autore. Di Grossman ne avevo solo sentito parlare, ma senza mai conoscerlo sul serio. E ho voluto rimediare.

“La vita gioca con me” è ispirato a una storia vera, ma non biografico e penso basti una sola parola a descriverlo: straordinario. Racconta sottovoce, con uno stile unico e una forza particolare. Parla di famiglia, relazioni, legami a volte slegati, intrecci, guerre, angherie e soprusi nei gulag. Ed è fatto di viaggi. Prima nei personaggi, poi nei territori impervi della ex Jugoslavia. Infine, dentro di sé, lasciandoti inebriato, ma solo, per come possono essere certe storie.

Non sapevo che Grossman fosse nato a Gerusalemme, l’ho scoperto in seguito in quarta di copertina, tenendo il libro tra le mani, e, istantaneamente, il mio pensiero è andato a Amos Oz, un altro mostro di bravura. Non può essere un caso: la scrittura israeliana ha un inchiostro potente, irresistibile. E cogli la differenza tra scrittore e autore, forse.

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