Andavo da G.d.A. una o due volte l’anno, circa. Facevamo affari insieme, ma non ne parlavamo mai. Quelli poi li lasciavamo a Graziano e Giuseppe, i nostri rispettivi collaboratori. Ne conservo una stima enorme, anche se non ci vediamo quasi più. A stare di fronte a certe persone, capisci cosa voglia dire rispetto, confronto, fiducia, amicizia. Può sembrare strano in un contesto lavorativo. Ma per me è fondamentale. Faceva fatica ad adattarsi ai cambiamenti, specie quelli repentini e improvvisi, ma necessari. Accoglieva il futuro con una linea di malinconia, però poi ci entrava e cercava di starci comodo. Lo salutavo sempre con una battuta, una risata e una stretta di mano sincera, a ringraziarlo del tempo che mi aveva dedicato e del suo insegnamento non imposto. Avrà avuto trent’anni più di me, ma non sentivo la differenza, se non per il baffo bianco e retrò.
Un giorno mi chiese un appuntamento fuori programma: accettai senza esitare e con un po’ d’ansia, per la verità. Mi aspettava sorridente nel parcheggio, quando arrivai, passeggiammo un po’ fuori l’ufficio e mi spiegò la novità: passava il testimone dell’azienda. Al figlio. Alessio, fino a quel momento si era divertito, era diventato maestro di salsa e bachata, ma ora era tempo che lasciasse i passi di danza per quelli nell’impresa di famiglia. Il signor G. aveva perso quella malinconia di fondo per far spazio a una gioia piena, orgoglioso che suo figlio fosse disposto a succedergli.
Il cambio di generazione era una magia che avveniva davanti i miei occhi e io ero felice di farne parte.
L’eredità non sono soldi o beni, che aumentano, diminuiscono, si sgretolano, cambiano i gusti.
La vera eredità è passare il testimone della vita con gioia, fierezza, onore: lasciarne traccia, insomma.
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