Whitaker – #shortstory n. 77

La prima sigaretta non l’ho fumata, quasi l’ho ingoiata. Tiravo con forza, sentivo le guance rientrare nella faccia, quasi le sentivo sfiorarsi dentro la bocca. Per la voglia di bruciare le tappe, per sentirmi adulto, per la paura fottuta che mi beccassero, per correre ovunque non ci fosse infanzia e preadolescenza attorno. Sono riuscito a non tossire, ma gli occhi mi hanno lacrimato, un pizzicore sulla lingua, un sapore aspro e caldo. L’ho fumata fino in fondo e, dopo aver fatto l’ultimo tiro, con il filtro ormai bruciato e bollente, non sapevo che farne di quei resti consumati. L’ho fumata troppo, per far durare di più quell’esperienza, ma anche perché non sapevo il limite che, evidentemente, avevo superato. In ogni senso.

Ho esplorato nella memoria scene di film: nuvole di fumo, facce truci, arie soddisfatte, poi, tenendola tra due dita, con il medio l’ho lanciata e subito dopo rincorsa per andare a spegnerla e cancellare ogni prova della bravata. Di brace quasi non ce n’era più quando l’ho schiacciata, ma ho provato comunque un piacere elementare, un bisogno primordiale, quasi. Ma un po’ la stavo anche nascondendo sotto la scarpa.

Mi sono sentito grande, come non mai, nemmeno al primo bacio, un po’ dopo, mi sono sentito tanto enorme. In fondo sapevo quanto fosse solo fumo, ma non lo avrei ammesso nemmeno davanti al Padreterno. Avrò avuto dieci anni e mi hanno beccato, ovviamente. Oggi quando fumo, lo faccio sempre al buio, come a nascondermi. A me stesso e agli altri. Guardo la brace viva, ascolto il rumore della carta e del tabacco che si consumano o della vita che si accorcia, penso ogni volta con tenerezza a quel moccioso nascosto tra gli alberi, penso che dovrei smettere e dovrei cominciare a crescere: da bambini lottiamo per fare le cose da grandi, da adulti se non accettiamo di esserlo e imitiamo i piccoli, restiamo dei mocciosi.

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Con la porta aperta – …in Brasile

Mai ci saremmo aspettati di sbarcare in Brasile!!!

Grazie a Kindle Unlimited (il sistema di lettura in abbonamento di Amazon) “Con la porta aperta” è stato letto fin lì
Viaggio lungo, durato 2 mesi, ma alla fine conta il risultato.
E ora, come a Risiko, tocca conquistare la Kamchatka…ma Malta va bene uguale
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Anita – Marilena Lucente

Comincio a conoscere e riconoscere la scrittura della Lucente, ma ogni volta ne resto stupito. Non è importante di cosa scriva: in ogni rigo trovi la poesia della parola, al di là della cronaca. Prima della sua scrittura, però, ho conosciuto lei. E, giorno per giorno, colgo quanto prezioso e fortunato sia stato quell’incontro: Marilena “viene per restare” (cit.) come autrice, come amica.

Non amo le rivoluzioni e non amo, di conseguenza, i rivoluzionari che sia il Che o Garibaldi, poco cambia, credo poco a chi va di cappa e di spada: le rivoluzioni si fanno in ben altro modo, soprattutto oggi. E i veri rivoluzionari sono quanti vivono una normalità ostica, dura, tragica e non rinunciano. Il resto è solo ego.

Solo Marilena Lucente poteva riuscire a farmi leggere di lui, attraverso lei, Anita, una ragazzina, in fondo, morta quasi prima di diventare donna, avendo comunque il tempo di incidere la società e così scopro chi è veramente l’eroe, chi veramente la rivoluzionaria, quando invece credevo fosse un semplice riflesso del famoso coniuge.

Anita è tante cose, ma in queste pagine (e, azzardo, che difficilmente si leggerebbe altrove) emerge la determinazione, la tenacia, l’audacia tutte declinate al femminile. È una donna di scelte, più che azione. In questa biografia, non è l’autrice a scriverne, ma è Anita stessa a raccontarsi. E oltre che leggerlo, assistere anche alla presentazione dell’opera, è illuminante.