“Questo è l’inferno. Oggi, ai nostri giorni, l’inferno deve essere così, una camera grande e vuota, e noi stanchi stare in piedi, e c’è un rubinetto che gocciola e l’acqua non si può bere, e noi aspettiamo qualcosa di certamente terribile e non succede niente e continua a non succedere niente.” – Se questo è un uomo –
“La libertà, l’improbabile, impossibile libertà, così lontana da Auschwitz che solo nei sogni osavamo sperarla, era giunta: ma non ci aveva portati alla Terra Promessa. Era intorno a noi, ma sotto forma di una spietata pianura deserta. Ci aspettavano altre prove, altre fatiche, altre fami, altri geli, altre paure.” – La tregua –
C’è una parte di storia di cui non andare fieri.
Da un lato persone, dall’altro bestie.
Persone ridotte a numeri, di cui si è cercato di annientarne l’anima. Invano, fortunatamente.
Le persone durano pure dopo la morte, le bestie non contano nemmeno in vita, nemmeno quanto i numeri.
Lo chiamiamo giorno della memoria, ma quelli se ne ricordano solo il 27 gennaio, mentre gli altri 364 giorni sono giorni dell’oblio in cui continuare a seminare odio, essere quella parte che, se è vero che non partorisce terrore, lo alimenta non sradicandolo, non stigmatizzandolo.
Auschwitz non è chiuso, è intorno a noi e il binario 21 continua a trasportare anime da un presente di cui non andare fieri a un futuro in cui continuare a non andare fieri.