Pedalavo forte quell’anno. Più scorrevano giorni di merda, uno dietro l’altro senza tregua, e più spingevo sui pedali, con forza, rabbia e tutto il rancore che restava denso, dentro, dal lavoro.
Ero il deputato al ruolo del cattivo. È — evidentemente — così che mi vedevano e vedono. Occorreva litigare con i sindacati? In automatico squillava il mio interno. Occorreva “accompagnare” alla porta un fornitore o un dipendente? La spilletta con scritto “facilitatore” si appiccicava sul mio bavero.
Con qualcuno, mi sono anche divertito a sbatterlo fuori, sia chiaro, però lo stress era a mille. Non era la parte del cattivo a pesare, quanto a doverla svolgere alla perfezione, senza possibilità di sbavature, distrazioni.
Devi essere perfetto, come stronzo.
Non basta una doccia, poi, per pulirti dagli sguardi torvi e dalle maledizioni che ti restano addosso, quando passi.
Pedalavo in bicicletta e correvo e salivo e scendevo per seminarle, quelle maleparole e malazioni. Mie e non mie. Soffrivo in sella per sentire i sensi vivi.
Non pedalo più, ormai. Devo capire se ho smesso di essere il cattivo o ho smesso di preoccuparmene.