Tornavamo da un meeting. Avevo un disagio dentro, non consapevole. Tra una cosa e l’altra, nel bus noleggiato dall’azienda, perché il guru di turno ci aveva detto, con enfasi: “fa team building!”, spunta una bottiglia di spumante. Penso ad un compleanno o alla felice conclusione dell’evento. Invece, quello che tiene la bottiglia, ci chiede di brindare, ma non vuole dirci a cosa. Ha un sorriso falso e cattivo, stampato sul faccione scemo. Resto sorpreso e non mi piace. Mi assale un mutismo selettivo e un odio profondo, verso molte di quelle persone che brindano. Io rifiuto, dicendo che non mi piace quella marca di spumante. In realtà, non mi piacciono loro, ma non so ancora il perché. Anche una mia collega non brinda e non le chiedo il suo, di perché. Ha deciso il mio istinto per me, si è assunto la responsabilità di una decisione, obbligandomi a dire no, con la lingua, la mano ed un movimento della testa. Mi ha guidato e, ancora oggi, lo ringrazio. Il lunedì successivo, alcuni tra loro, annunciano la scissione, ci lasciano in mutande a molti, e di sale a quelli che li avevano sorretti nei festeggiamenti, per farsi poi pugnalare alle spalle. Nella nuova società, assumono gli stessi comportamenti che ci criticavano e per i quali sono andati via. Com’è strana la gente, penso. Allora era l’invidia per non avere il potere, a farli parlare, non gli ideali che sbandieravano, di etica e giustizia. Con alcuni di loro, di tanto in tanto, mi capita di mangiarci insieme, il mio istinto continua a non fidarsi e mi dà pugni nello stomaco. Lo spumante, comunque, era veramente scadente, ma non quanto loro.