Alla fine, l’ultimo oltraggio, l’ultimo schiaffo l’ha subito da un attacchino che, senza grazia, quasi senza rispetto, le ha spiaccicato sulla foto il pennello intriso di colla, per finire in fretta e andarsene altrove. Vallo a capire dove. E di schiaffi, Filomena, ne prendeva ogni giorno dalla vita, come una bulla che si accanisce sulla più fragile della classe. È stata per me non una mamma — è una parola troppo grossa e va maneggiata con cura, per distribuirla in giro, specie per uno che l’ha perduta da ragazzino — ma una persona speciale, sì. Era una di quelle persone sempre ai margini, nella vita, nella società, nei pensieri della gente, persino, che poi ci si abituano pure, ci ballano persino su quei margini, ma sempre ai margini stanno. L’ho conosciuta che ero già adulto, faceva dei piccoli lavori a cottimo dal mio sarto. Ricuciva l’anima con la stessa naturalezza con cui ti aggiustava l’orlo, senza nemmeno guardare. Ti sagomava lo spirito con la disinvoltura di quando maneggiava il colletto della camicia. Non era colta, ma le sue parole erano colme di insegnamenti, non era ricca, ma regalava molto più di quanto ricevesse. Non era giovane, sana e bella fuori, lo era dentro. Per questo sarà immortale. Non è facile da spiegare, ma provo pena per quel figlio lontano, che non è riuscito a conoscerla.
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