Whitaker

Potrebbe essere un'immagine raffigurante giacche e il seguente testo "Nella vita nonc'èla proprietà commutativa, come in matematica. Qua cambiandol' l'ordine, cambia pure il risultato. Whitaker"

E mo’, come glielo spiego a don Michele che il Laphroaig nemmeno mi piace? Sarò un poco snob, ma, tra i whisky, è tra quelli che mi piace meno. Certo, sempre meglio che se m’avesse regalato una grappa, e con un rametto dentro, per giunta, ma il Laphroaig proprio non lo posso bere. Farei un affronto alla signora Macallan. Oltre che al mio palato, of course.

Che sia un po’ in imbarazzo lo si vede, da appena mi si è seduto di fronte. E, soprattutto, da come ci sta seduto, con quella specie di moto perpetuo, come se delle formiche gli stessero facendo il solletico da sotto i pantaloni, e lui cercasse di schiacciarle col sedere, senza farsi sgamare, ma con un po’ di senso di colpa. Lo vedo che cerca di mettere insieme – senza grande successo – un po’ di parole per giustificare la sua presenza nel mio ufficio. Mi deve chiedere un favore per un suo parrocchiano, lo so. Il discorso che sta cercando di fare, me lo raffiguro, nella testa, come quelle lettere anonime, fatte con le parole ritagliate dai giornali e incollate su un foglio, talmente è poco fluido. Però il gesto del regalo, l’essere goffo e in soggezione mi gonfiano il cuore. Certo, nel gonfiarsi, non essendo più abituato, si crea qualche crepa sulla superficie, ma il risultato finale non è male, comunque. E pensare, che prima di trasferirmi a C., quand’ero un bambino, quello stesso prete mi riempiva di scappellotti, alcuni senza motivo. Ho già deciso che l’aiuto, però lo faccio friggere prima un po’. #WhitakerAcademy

Whitaker

Avrò avuto dieci anni, più o meno. Un giorno, non ricordo perché, sembrò una buona idea non andare a scuola, alle elementari. Eravamo quattro o cinque, imbastimmo una ragione intellettuale e profonda e cambiammo strada. Uno di noi conosceva un posto dove ripiegare, in un giorno caldo e assolato. Spostai i capelli dagli occhi e capitanai tutti. Tutto intorno, era tutto più alto di noi, quando arrivammo. A guardarli dalla macchina, non sembrano così alti i campi di mais, dentro non arrivavamo nemmeno alle pannocchie in cima e rischiavamo di perderci. Riempimmo di pannocchie, col ciuffo marrone, il poco spazio libero dai libri, negli zaini e, per ora di pranzo, ognuno di noi bussò al proprio citofono di casa.

Non so, ancora oggi, come avesse fatto, ma mia mamma già sapeva dell’assenza in classe. Non ho mai smesso di cercare la spia. Le dissi che cercavo la misura della mia libertà, che trovai presto, in una ciabatta che mi raggiunse in corridoio, mentre scappavo.

Tutto questo, oggi sarebbe impossibile.

Il primo giorno di “lavoro nei campi”, il primo furto, il primo marinare la scuola (bigiare, fare schissa, fare fuochino, fare filone, fare sega, bruciare – a seconda della regione). Le pannocchie erano ottime, condite di un romanticismo tenero e furbo.