“Tess, a matita” è il primo dei 15 racconti di Assenze giustificate.
Si parla di vigne, di un dobermann, di amori adolescenziali e non. E di Tess, soprattutto. È la classica storia dalla quale ci si aspetta il lieto fine.
L’assenza è costantemente presente nella nostra vita, non se ne va mai veramente via. Per tenerci compagnia.
Un altro pezzo della copertina di Assenze giustificate.
Assenze giustificate è una raccolta di 15 racconti, il cui tema comune è l’assenza. L’assenza è costantemente presente nella nostra vita, non se ne va mai veramente via. Per tenerci compagnia.
Mi presento, mi chiamo Sofia Sacchitelli, ho 23 anni, sono di Genova e sono una studentessa di medicina del quinto anno.
Il 10 novembre 2021 ho scoperto che l’atrio destro del mio cuore ospitava un’enorme massa di cellule tumorali maligne chiamata angiosarcoma cardiaco, tumore molto aggressivo e attualmente considerato a prognosi infausta. Patologia talmente rara e assurda, con quota di circa 2-3 casi per milione di abitanti, tanto da ritenermi quasi “fortunata” a esserne stata colpita.
Mi ci sono voluti diversi mesi per riuscire a pronunciare quell’orrenda parola senza la voce tremolante e senza essere percossa da un brivido lungo la schiena.
Parto dal presupposto che la mia filosofia di vita fin da piccola, ogni volta che mi capitava qualcosa che mi faceva sentire sfortunata, oppure che ritenessi ingiusta, è sempre stata “le tragedie nella vita sono altre”
In seguito alla diagnosi e dopo essere stata dichiarata l’inoperabilità del mio tumore, vista la sede e di conseguenza l’impossibilità di asportare l’organo, mi è risultato più difficile applicare la mia filosofia.
Dopo un iniziale momento di rabbia e sconforto ho cercato, tra un ciclo di chemioterapia e l’altro, di continuare a condurre una vita il più normale possibile, per il bene e la salute mentale mia e della mia famiglia.
Già la vita è breve e se la mia lo è ancora di più, meglio godersela e fare ciò che ti rende felice.
Sempre circondata dal supporto dei miei genitori, di mia sorella Ilaria, del mio ragazzo Nicolò e dei miei amici più cari, ho vissuto il mio percorso di cura nel modo più sereno possibile.
La malattia mi ha permesso di provare sensazioni mai conosciute prima, non solo negative; di scoprire la personalità e la profonda sensibilità di alcuni, a differenza di altri che invece si sono tirati indietro, non sapendo come affrontare la situazione, ma che comunque non condanno.
Oggi non sono qui a lamentarmi di quanto il cancro faccia soffrire o quanto sia stata sfortunata ad esserne colpita perché purtroppo ogni giorno migliaia di bambini, ragazzi e giovani adulti come me combattono duramente le loro battaglie.
Ho sempre amato la vita, adoravo riempirmi le giornate di impegni e circondarmi di persone positive. Non ho mai avuto rimpianti e grazie al sostegno e ai sacrifici dei miei genitori sono sempre riuscita a fare tutto ciò che mi rendesse felice e mi facesse stare bene.
Il destino purtroppo mi ha impedito di realizzare tutti i progetti che avevo in mente: diventare medico, sposarmi, avere dei bambini, passare dei momenti con le persone che amo, andare a vedere la Samp con mio papà e mia sorella, viaggiare, accudire i miei genitori da anziani e invecchiare.
Il pensiero più angoscioso e tormentoso per me rimane il fatto che due genitori rimarranno senza la loro creatura, una ragazza senza la sua adorata sorella minore e un ragazzo senza l’amore della sua vita; a questo non riuscirò mai a trovare una giustificazione che mi dia pace.
Il mio unico vero desiderio sarebbe quello di fare anche solo un piccolissimo passo avanti nella ricerca e sulle conoscenze di una malattia estremamente rara come l’angiosarcoma cardiaco.
Avendo colpito me personalmente mi riesce veramente difficile rimanere indifferente; soprattutto per tutte le persone e le famiglie che si sono sentite spaventate, abbandonate e sconfortate al momento della diagnosi, come è capitato a noi. Tutto questo ovviamente è alimentato dal fatto che sono una studentessa di medicina e dalla mia profonda fiducia nella ricerca. Magari non darà risultati grandiosi, ma vorrei comunque provarci.
Il mio sogno sarebbe che nessuno mai più ricevesse una sentenza di morte come è capitato a me e a tutte le persone che hanno lottato contro la stessa malattia.
Sono perfettamente consapevole del fatto che gli studi di ricerca si concentrino di più sui tumori con incidenza maggiore sulla popolazione, come è logico che sia.
Quello che ho deciso di realizzare è una raccolta fondi in cui verserò tutti i miei risparmi guadagnati da studentessa lavoratrice. Chiunque vorrà potrà contribuire, anche in minima parte, a raggiungere questo obiettivo.
La raccolta sarà finalizzata a studi di ricerca sugli angiosarcomi realizzati da parte dell’Italian Sarcoma Group per permettere una cura e una qualità di vita migliori nei pazienti affetti da questa patologia.
Concludo citando una frase di John Lennon:
“LA VITA È CIÒ CHE TI SUCCEDE MENTRE SEI OCCUPATO A FARE ALTRI PIANI”
Grazie a tutti per l’attenzione e per l’affettuoso sostegno che mi avete sempre dato.
Non voglio certo lamentarmi visto che è solo uno, ma ecco, è lì a ricordarmi che sono fatto della stessa materia dell’uomo comune. Uno di voi, insomma.
Però vuoi mettere la soddisfazione delle azioni che ne conseguono? Se qualcuno avesse da ridire, potrei incolpare lui, il mio carattere, e corro via leggero, senza scrupoli.
È tanto più eclatante quando viene fuori, perché i più mi riconoscono modi affabili e gentili. Il guaio è che, questi più, in maggioranza siano degli idioti e restano straniti quando li mando a fanculo cantandogliene quattro (quarantaquattro, in realtà), mostrando il mio lato bestiale, insensibile e senza cuore. Forse pure screanzato.
Non li reggo, non so che farci. Sulle prime mi riprometto di tacere e non considerarli, ma alla fine reagisco, a volte maldestramente e malamente, però con giustizia e onestà intellettuale.
L’istinto primitivo di discendente del cavernicolo mi vorrebbe portare a dargli un pugno su quell’espressione stolida, non avendo più la clava a disposizione. Riesco a trattenerlo nella mano, e poi ne sono felice. Salvo la dignità, almeno.
Ecco perché nell’ultimo cda ho fatto presente che chi non sa far applicare i contratti, dovrebbe dedicarsi ad altro. Detto così suona bene. Nella realtà è venuto fuori molto meno carino, senza la possibilità di farmi guadagnare punti: ho urlato, guardando dritto sulla faccia del malcapitato, declinando a una a una le incapacità e suggerendo, oltre alla corretta esecuzione, pure quale personaggio scemo dei fumetti sarebbe, invece, stato in grado di farlo senza problemi.
Almeno al lavoro, potrei liberarmi degli idioti esercitando il mio potere e il mio ruolo, lo so, ma vorrei che ognuno avesse il decoro dell’autoanalisi oggettiva, ammettere le proprie incapacità e togliersi dai piedi. Lavoro per un mondo migliore, quindi. Cerco di far crescere i miei interlocutori e collaboratori, ma molti sovrastimano sé stessi e, così, anziché ammettere di essere inetti, dicono che lo stronzo sia io.
È Natale da fine ottobre. Le lucette si accendono sempre prima, mentre le persone sono sempre più intermittenti. Io vorrei un dicembre a luci spente e le persone accese. (cit. Charles Bukowski)
Io e G. non siamo diventati amici. Per certi versi siamo stati di più. Quando l’ho conosciuto, io poco più di un ragazzo, lui poco sotto i sessanta, ha cominciato a farmi un sacco di domande, un vero e proprio terzo grado: da dove venissi, chi fossero i miei parenti, perché avessi quel nome e come si incastrasse comunque con le mie origini e cittadinanza. Poi, mi ha insegnato un mondo e tutte le cose che potesse contenere. I modi potevano sembrare bruschi, ma era solo perché ne aveva passate tante, da quando a sei anni fu costretto a cominciare a lavorare, fino all’ultima fregatura della vita che gli aveva tolto quasi in contemporanea moglie e fratello. E prima c’era stata la penultima fregatura, da un suo amico, perché degli amici ci si deve fidare, mi disse e quindi lui si era fidato, proponendogli un affare da fare insieme. E me ne aveva parlato commosso, senza che sapessi cosa ribattere. L’affare, anni dopo, si era rivelato proprio grosso, di quelli che ti fanno svoltare e lui aveva visto giusto. E pure l’amico, però, che approfittando della soffiata, l’aveva poi fatto senza soci, lasciandolo solo con l’amarezza non dei soldi non guadagnati, ma della delusione. E nonostante questo, ancora si fidava delle persone, dandomi l’onore della sua fiducia. E io di lui, ovvio, ma a me veniva facile.
L’ultima volta che l’ho sentito eravamo al telefono: stava andando in clinica per un’operazione che non sospettavo nemmeno e non sapeva se ce l’avrebbe fatta. Voleva salutarmi. Gli augurai il meglio e gli chiesi di farmi sapere appena sarebbe uscito che sarei andato a fargli visita. Dopo qualche giorno, ricevetti un messaggio. Quando vidi il nome sullo smartphone fui contentissimo, con gli occhi che mi brillavano di gioia. Era invece un messaggio della famiglia che mi comunicava che G. non ce l’aveva fatta, ma ci teneva che sapessi. Divenne buio nella stanza con gli occhi che continuavo a brillare, ma le lacrime erano molto amare.
Vedo la gente e la faccio scorrere, cercando di dimenticare, sperando di dimenticare. Poi cerco di guardare le persone, per farle rimanere. Difficile trovarle nella gente, di solito le persone stanno per cazzi loro, ma non per carattere schivo, perché si bastano. Devi uscire dalla gente per trovare le persone, un po’ come andare per funghi, devi essere esperto, paziente, determinato, sicuro, sapere dove andare, quando andare, quando e quanto fermarti, quando scappare. Molti cercano di essere persone, fanno come le persone, sembrano persone, ma a guardare bene si rivelano gente, però isolate, perché manco la gente le ha volute. Ho incontrato un bel po’ di gente, ma sono sempre contento quando incontro una persona,